L’etimologia della parola “periferia” è la perfetta rappresentazione dell’onanismo linguistico che ha mosso intere generazioni di classicisti ed appassionati di storia delle lingue. In questo termine che spesso ha assunto nella narrazione mediatica tinte poco positive vi è la più scolastica delle fusioni di due termini che insieme coniano un concetto: “περί” significa in greco antico “intorno” e “φέρω” (che si legge “Fèro”. ndr) che è il verbo generico “portare”. Unendo questi due termini otteniamo una grezza traduzione lessicale: “portare intorno”. Il greco antico è bello perché è un esercizio del cervello, resta il fatto che ad oggi la periferia è qualcosa che sta intorno.

Ma ‘periferie’ si è in relazione a qualcosa, ad un baricentro d’osservazione. Alle volte si ha la sensazione che la città che tanto amiamo e poniamo al centro del nostro mondo sia la periferia estrema di qualcosa di più grande. Di un impero economico e commerciale, di un pensiero filosofico, dell’innovazione digitale.
Quindi eccoci qui con indirizzo Italia, citofono 2020, in un’estrema periferia relegati al ricordo di un’esotica attrazione turistica ricca di bellezze naturali ed artistiche, amanti latini e un’incredibile enciclopedia del gusto epicureo della cremosità e velluto tannico, in abito da donna o uomo, insomma chiunque abbia voglia di vestirsi come una musa ed ispirare i poeti.
Anche in questo caso il cibo è un appiglio per raccontare una parte del mondo, ininfluente davanti ai grandi movimenti che giorno dopo giorno sgretolano l’antico, ma importante come la fiammella dell’anima che, nel buio di una notte lunghissima, anima la voglia di alzarsi ogni giorno e andare a tenere vivo il proprio progetto imprenditoriale.

Lontano pochi ma lunghissimi chilometri dalla cupola del Brunelleschi nel centro di Firenze, in zona aeroporto e cuscino dell’hinterland dei quartieri a nord della città, si trova Peretola. Un vecchio adagio popolare, con sprazzi di umorismo misto a un certo senso del disprezzo che i fiorentini hanno nel DNA, recita: “Brozzi, Peretola e Campi che Dio ce ne scampi”, alcuni fanno risalire questa cit. al Sommo Divino Dante. Nonostante si tratti di una prosa alquanto lontana dall’immensa musicalità delle terzine.
La zona comunque si è fatta valere negli anni, regalando alla popolazione di realtà diventate vere e proprie cattedrali nella propria piccola religione. Il Tenax, storica discoteca della New Wave che ha visto nascere i Litfiba e i Diaframma per poi trasformarsi nell’alcova trasgressiva del disco-divertimento e la Trattoria Da Burde, il feudo gastronomico della famiglia Gori, con i mitici Andrea e Paolo, dove ogni giorno (quando non c’è il Covid), i tanti appassionati della classicità toscana si siedono a divorare bistecche e piatti della tradizione serviti con grande attenzione. Insomma, la Trattoria Da Burde è un classico che spero di potervi raccontare un giorno.
Il Ponte all’Indiano, il piccolo metaforico Golden Gate Bridge della viabilità da ora di punta fiorentina, svetta a segnare un confine immaginario, dal finale delle Cascine all’inizio di via Pistoiese e via Pratese, le storiche arterie della Piana. Un complesso e ricco panorama amalgamato tra un’industria resistente, commercio e zone rurale agricole, capolavori artistici e un milione di abitanti che ogni giorno si sveglia e sente la necessità di mangiare.

Qua, in questo luogo scordato da Dio, ci sono persone che si sono rimboccate le maniche, hanno creduto nella possibilità di non lasciare a se stesse queste strade e questi figli vittime di questo mondo, ma di investire, cercare di portare più gente e far rinascere queste zone.
E non parliamo solo del celeberrimo Don Santoro, personaggio che unisce come nelle migliori favole il sacro e il profano di spicco dell’ambiente di Peretola, per i suoi aiuti ai più bisognosi, non solo in ambito di malattie o danni fisici ma anche, per il contributo che ha dato a tante famiglie povere. Noi intendiamo Simone Gori, Chef e proprietario del Bistrot Ventuno, ristorante di Fine Dining.
Il locale si presenta all’aspetto molto gradevole, con stanze intime e riservate, l’ambiente è circondato da statue di carta costruite dai dipendenti, raffiguranti animali o persone. La sala nella sua luminosità non ha niente da invidiare a locali “centrali“.
Le cose curiose di questo ristorante di periferia sono due. La prima è che i piatti presenti sono tutti ispirati ai murales presenti sopra i pilastri di Ponte all’Indiano, mentre la seconda è che il menù del ristorante cambia ogni 21 del mese, probabilmente in onore proprio del nome del bistrot.


IL Pan di Peretola
Secondo quanto detto dallo Chef Simone, lui starebbe cercando di far si che Peretola risplenda, o comunque passi meno inosservata agli occhi della gente, ed una delle vie che ha intrapreso per fare questa prova è quella di creare un pane tipico della zona, ovvero il Pan di Peretola. Lo scopo è quello di creare tra le persone un legame sia con il luogo che tra di loro, ed un piatto “tipico” può essere un buon inizio.


Purtroppo non mi è stato possibile assaggiare i piatti di Simone. La cucina è chiusa, visto che il ristorante è fermo in ottemperanza alle attuali norme del governo per contrastare il Covid. Non posso dunque parlare della parte più importante di un ristorante, il cibo.
Se non assaggio non credo.
Da una lettura del menù, finemente impaginato e stampato su una piacevolissima carta morbida e setosa, si scorgono tante belle presenze di ingredienti lontanissimi dalla periferia. Dai funghi shitake (attuali trendsetter della cucina) al gambero rosso. Simone parla di un concetto di cucina tradizionale rivisto in una chiave contemporanea. Mi impegno a tornare ad assaggiare per avere un punto di vista chiaro.
“Durante l’ultimo lockdown mi sono costruito una chitarra elettrica da solo“, si confida Simone.
“Mi piace curare la carta del vino, sono un maniaco della precisione. Ogni capitolo della carta è diviso per zona ed è indicato il vitigno.” Questo mi ha detto Simone per quanto riguarda la sua carta dei vini, eterogenea con territori e vitigni da tutta Italia, dove comunque si ha la garanzia di trovare un prodotto di qualità.
Dalla periferia dimenticata di ciò che fu Granducato, oggi vuota spoglia dei suoi milioni di visitatori annui è tutto. Intanto, c’è chi prova ad essere roccia senza rotolare via.
————————————————————————————————————————————————————————-
Aperto tutti i giorni tranne il martedì, con orario – 19:30 – 22:00
Via de’ Vespucci, 21
zona ponte all’indiano
50145 Firenze