Flower Burger, il panino Hippie che vi svolta la giornata

Presto! Armatevi di sassi e bastoni, come i romani, e mettetevi in posizione di difesa. Quando si parla di vegano, specialmente a Firenze, è facile prestarsi ad un linciaggio che cala con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno sul corpo inerme dell’avventore goloso alla scoperta di nuove soluzioni. Vi prego quindi di ascoltare il mio ultimo desiderio: leggete fino in fondo questo articolo e poi decidete se risparmiarmi la vita.

Anche perchè il Flower Burger non è vegano. 

l’8 dicembre 1980 a New York veniva ucciso John Lennon. Cinque spari nella notte rompevano il silenzio di un ameno quartiere upper class, e la dissolvenza al nero accompagnarono al capolinea uno dei musicisti, artisti e pensatori, più influenti del ventesimo secolo. Un folle, un disagiato, un mitomane, aveva ucciso la chitarra irriverente dei Beatles, la voce gracchiante dei Sergent Peppers Lonely Heart Club Band, il provocatore della stampa, l’arruffapopolo britannico, il  cantore dell’amore universale, uno degli uomini più grandi di Gesù, il grande profeta di ogni Hippie post sessantottini. Con le sue canzoni dal testo semplice e la musica incisiva, un Muhammad Ali degli accordi, o del pianoforte.

Lui e gli altri tre Beatles hanno influenzato la cultura, lo stile e l’immaginario di più di una generazione. Talmente tanto che ancora oggi esistono locali che prendono spunto dall’epopea dei quattro di Liverpool. Come al Flower Burger di Firenze, in cui un sottomarino giallo sfreccia affrescato sulle pareti della sala.

Il 18 settembre 1970  moriva a Londra Jimi Hendrix, uno che a differenza di Lennon, ha frequentato Woodstock. Jimi rivoluzionò il modo di suonare la chitarra, ma anche la concezione di  musicista. Insomma Hendrix insegnò al mondo come essere fighi. Come essere cool. La canzone “Fire”  è del 1967 negli anni in cui  un fenomeno sociale si stava convertendo in tendenza, in moda, ovvero gli Hippie, già presenti sulla scena da anni ma catalizzati poi dai predatori del marketing sul finire degli anni 60.  Davanti ad una folla oceanica, stordita da un menù degustazione di un’intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti, Jimi Hendrix con una chitarra Fender Stratocaster bianca suona l’inno americano con una distorsione estrema, urlante, e i corpi nudi degli spettatori, colorati, danzavano in un rituale musicale fuori dal comune.

 

Colorati

E pensare che in inglese i l termine “Coloured” significa “di colore“.  Come di colore era Meredith Hunter il ragazzo afroamericano che fu ucciso durante  l’Altamont Free Concert, organizzato sulla costa ovest degli Stati Uniti. Voluto dai Rolling Stones a quattro mesi  di distanza da Woodstock, con la partecipazione di band storiche del calibro dei Santana e dei Jefferson Airplane. La differenza fu che in pochi mesi, la grande onda del concerto più famoso della storia, specialmente per il suo clima in cui tutto sembrava possibile, un’autentica utopia, quasi tolkeniana, crollò sotto il peso della non sostenibilità della sua attuazione. Il sogno Hippie era troppo grande, come tutte le anarchie. E Altamont fu la fine. O meglio, l’inizio della fine. Con l’organizzazione pessima e il servizio d’ordine affidato agli Hell’s Angels, ovvero i famosi centauri incazzosi. In questo clima, con ben 500.000 persone che hanno partecipato, si è compiuta la tragedia che ha portato a 4 morti in un delirio di alcool, droghe,  armi, paranoie e disorganizzazione. E quando Meredith, il ragazzo coloured, estrasse la pistola, come ricostruito dalla immagini girate dalla troupe che stava immortalando i Rolling Stones mentre stavano suonando Sympathy for Devil,  gli Hell’s Angel non ci pensarono due volte ad ucciderlo pugnalandolo con i coltelli. Il sangue macchiò i loro giubbotti di pelle. E il baraccone da circo della pace universale, dei capelli lunghi, dei fiori nei fucili, della libertà indiscriminata anche mediante l’utilizzo  delle droghe, del fango e della pioggia, è crollato. Il rumore sordo dei Led Zeppelin che si sciolgono, oppure le litigate dei Jefferson Airplane,  la pazzia totale di Brian  Wilson dei Beach Boys; o il giorno in cui Roberto Baggio si è ritirato dal calcio.

Non so se esistesse anche un filone culinario  in linea con gli Hippie. Si possono anche annoverare gruppi come i “Flying Burrito Brothers” e i “The Joy of Cooking“, e poi erano altri tempi. All’epoca nei cannoni mettevano fiori, oggi panini di McDonald’s e Caffè di Starbucks. Sicuro è che quando si parla di numeri impressionanti di adolescenti e ragazzi vari strafatti ad un festival, la tendenza è quella di buttarla sullo street food. 

Ecco, sinceramente dai due panini e patatine che ho assaggiato al Flower Burger ho trovato nella combinazione tra pane e ripieno, ho tratto ispirazione per le parole riguardanti la storia del rock e degli hippie. Come ho addentato quell’hamburger viola, è partita in mente la chitarra distorta di “In A Gadda la Vida” degli Iron Butterfly. E un flusso di colori, controtendenza ma soprattutto freschezza degli ingredienti.

Panini Hippie

Ci tenevo a sciorinare un po’ di nozioni sul fenomeno HiIppie, perché era molto importante per me chiarire questo punto di vista. Più che altro, la modalità di approccio ad un locale adibito alla ristorazione. Per la sensibilità che mi porta a sentire l’esigenza di comunicare. Estetica della degustazione di un panino, di un bugigattolo sulla Roma sud o di un ristorante tristellato in cima ad una montagna. Teoretica dell’emozione, al tavolo e a ritmo di mascelle che si muovono. Questo è il mio punto di vista, in questo caso su un’offerta gastronomica gustosa, riconoscibile e ricordabile;

Questione di Aspettative

Sempre più spesso mi capita di parlare  di mangiare, dove andare a mangiare, cosa mangiare, insomma sono diventato un obeso di pensieri enogastronomici. E mi rendo conto che la grande discriminante nel giudizio sia l’aspettative. La formula della soddisfazione a tavola è una meravigliosa equazione in cui la variabile aspettativa gioca un ruolo fondamentale. No more, No less. 

Parliamo di Panini

I burger del Flower Burger sono colorati. Perché? Semplice, grazie all’estratto di ciliegia nel caso del Cherry Bomb, il carbone per il Flower Burger Nero. Il pane si presenta, oltre che bello agli  occhi, anche molto soffice al palato. La farcitura è affidata ad esempio ai ceci, che non sono un rimpiazzo della carne, ma una scelta ben pensata ed in grado di non far rimpiangere la ciccia.

La cosa più rilevante che mi viene in mente per descrivervi la freschezza dei panini è il fatto che mi sono mangiato i burger che vedete nelle foto. Dopo 1 ora e mezzo di shooting in cui gli ho torturati. Tocchicciati, stropicciati, spiaccicati. Eppure, mosso dalla fame e dal senso del non sprecare, li ho deliberatamente addentati ed erano buonissimi.

Sostenibilità

Quella del Flower Burger è una scelta consapevole. E stupisce il fatto che, pur essendo tecnicamente vegano nella scelta, questo locale non si pubblicizza sotto il facile trend, da molti percepito come moda, Vegan. Inoltre, i legumi rappresentano una vera e ottima alternativa alla carne che non è da demonizzare, ma da affrontare con coscienza. Con dati alla mano, l’essere umano deve trovare un’alternativa alla sua dieta spesso non sostenibile. I processi di produzione, l’impiego di acqua, le percentuali di emissione di Co2 nell’atmosfera e l’impiego di suolo sono i tre parametri che indicano quanto la produzione di un determinato cibo o alimento impattino sull’ambiente. Spesso, sono cifre impressionanti. I legumi hanno percentuali molto minori rispetto alla carne.

Il Flower Burger è nel quartiere universitario del centro fiorentino, in via San Gallo ed è aperto pranzo e cena tutti i giorni della settimana. Insieme agli altri punti vendita sparsi un po’ in tutta Italia e Europa (Milano, Bari,Bergamo, Monza, Palermo, Rimini, Roma, Torino e Verona, Rotterdam e Marsiglia) nasce dall’idea imprenditoriale di Matteo Toto.

Ho citato la musica e i gruppi musicali anni 60/70, ora voglio concludere questo spaccato gastrosociomusiculturale con una delle poesie che più hanno segnato il periodo Hippie scritta da un Poeta Beat, anzi, senza troppe etichette, da Allen Ginsberg nel 1955.

Urlo  

«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade malfamate all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte.»

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