l’Impressione Chongqing è un ristorante cinese, precisamente sichuanese, situato nel centro di Firenze. Ce ne sono tanti, milioni di milioni, ma questo vale la menzione di onore. Esperienza diametralmente opposta al raffinato ed elegante Fulin, che come da nome, offre una luxury chinese experience. Impressione Chongqing garantisce una rabdomantica avventura alla ricerca di sapori spezie ed atmosfere apparentemente casuali, ma ben calibrate nell’insieme.

Siamo cresciuti con le pubblicità della Mentadent che ostentano misteriosi ricercatori in bianchissimo camice che testimoniano l’efficienza scientifica di uno spazzolino. Siamo stati bombardati dai manifesti elettorali e un tunnel di sorrisi finti, smacchiati da Photoshop. Insomma viviamo nella menzogna, che tolleriamo ai fini del marketing. In onore ad esso, tutto è lecito. All’apice, al confine tra tramonto, alba e post verità, accettiamo la finzione. Non abbiamo le armi culturali per combatterla. Il packaging si mangia con gli occhi, così mettiamo in mano ai nostri figli delle merendine all’uranio impoverito e in cerchio come nella scena finale di “8½” di Fellini cantiamo: “la morale è sempre quella fai merenda con Girella”.
Impressione Chongqing è l’opposto di tutto ciò. Suggerirei loro come claim pubblicitario di usare la frase: “talmente vero che i camerieri di trattano male.” In questa bettola di via Sant’Antonino, protrae la sua vita questo ristorante cinese per cinesi.

Veniamo nello specifico del ristorante, però ve lo racconto con gli stilemi della narrativa epica, etnica, etica, pathos:
Arrivammo nel cuore del quartiere di San Lorenzo, una costellazione di popolazioni, etnie, culture. Patacche, venditori abusivi, branchi di turisti. Era sabato sera, e noi eravamo affamati. Ore 19,47. Io e il mio amico Snake decidiamo di doverci saziare a dovere.
Nel microcosmo di vite occupati in miliardi di affanni, dalla lontana Asia, dalla colorata India, un ristorante accoglie fiumi di figli del Khan, più o meno vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming.
L’arrivo è dei migliori. Quando i tavoli non sono pronti, la cameriera che ha imparato quattro parole di italiano ti dice di aspettare, ed indica tre minuti facendo un gesto con le dita. Mettono diversamente le dita da come facciamo noi occidentali. Usano l’indice, il medio e l’anulare.

Aspetti in strada e ti viene consegnato il menù, relegato come i quaderni economici che avevamo alle elementari firmati Esselunga. Il menù è in cinese. Ma ci sono le foto e lasciatemelo dire a voce alta:
E’ L’UNICO POSTO AL MONDO IN CUI LE FOTO (BRUTTINE) DEI PIATTI CORRISPONDONO AI PIATTI.
Questa è una soddisfazione.
Io e lo Snake, che siamo entrambi alti 1.90, veniamo accolti e accompagnati al tavolino sotto gli occhi mandorlati di tutto il ristorante. Cerco di non incrociare lo sguardo di nessuno, è maleducazione per loro. O sono i giapponesi? Sono confuso. Il tavolino è piccolo e ci troviamo accanto ad una coppia, felice ed estremamente silenziosa.

La tovaglia è rigorosamente di carta e gli utensili constano di un tovagliolo minuscolo, sicuramente insufficiente a contenere la mole gargantuesca di sugna, bacchette cinesi ed un bicchiere. Il tutto da dover apparecchiare da soli.
Il cameriere si avventa dopo 2 minuti a chiedere l’ordinazione. Non perdono tempo, senza fronzoli chiedono in un italiano nemmeno abbozzato cosa vogliamo. Andiamo sul sicuro.
Zuppa di pesce bollito, melanzane in agrodolce, manzo.

La cucina dell’Impressione Chongqing è sichuanese. Ovvero della regione del Sichuan, nella Cina centrale. Un remoto angolo di mondo che vive su un’economia a comparto stagno dove la ricchezza dipende dall’allevamento dei maiali, pesca e coltivazione del pepe del Sichuan. E’ una cucina violenta, brutale, di un altro secolo.
I sapori sono milioni di milioni, per arricchire un semplice pesce, di origine non ancora identificata, con aromi di una piccantezza dell’altro mondo. Con la capacità di anestetizzarti la lingua. Dopo un po’ che mangi, il tuo corpo abbandona l’ambito terreno e diventa pura astrazione. E ti senti come Indiana Jones nella scena iniziale del Tempio Maledetto.
Inoltre offrono i piatti tipici del Sichuan, ovvero ogni parte di maiale. Ecco così che i più coraggiosi ordinano le orecchie, i reni, le zampe, le interiora. Tutto molto, molto unto e sugnoso.
La bocca si inerpica su una salita di esplosioni e fuochi d’artificio in ogni direzione. Con i piatti in condivisione, si assaggia tutto. Mentre gli altri clienti sono impegnati con mille smartphone ad osservarmi mentre fotografo i piatti, ridono di me.
Mangiamo, ci riempiamo la pancia, in un’orgia di sapori veraci e coraggiosi. I camerieri fanno di tutto per non rendersi simpatici o piacerci. Sono macchine, veloci ed automatizzati. E a noi questa cosa piace, perchè la non simpatia non è automaticamente sintomo di antipatia, ma noi la leggiamo come mero rispetto asiatico dell’intimità del cliente. E anche se siamo praticamente in collo ai nostri vicini di tavolo, riusciamo a parlare e sentirci dei grandi esploratori, tipo Marco Polo, in un ristorante che è un autentico pezzo di Cina a Firenze.
Alla fine si spende 17 euro a testa (solo acqua), e ne usciamo ancora una volta sazi e contenti, ma soprattutto arricchiti da un’esperienza culturale che solo se si è pronti all’avventura si riesce a godersi. Impressione Chongqing è un grosso vaffanculo alla noia e all’appiattimento gastronomico.