Twin Peaks 3, dove sono finite le torte alla ciliegia?

Ho  esaurito fino all’ultima goccia di adrenocromo nell’attesa di vedere la III stagione di Twin Peaks.

Due anni e mezzo di lunga attesa, alla ricerca di ogni arcano twinpeaksiano rincorrendo la chimera di un fotogramma nascosto, di un personaggio non capito o di una luce intermittente che ‘non è quello che sembra’. Il momento più alto della twinpeaksdipendenza è stato il consumare avidamente Wayward Pines , (2015, Fox) serie giudicata come ‘tributo’ al capolavoro lynchano: Bella, intrigante ma che sulla lunga distanza perde l’alone di originalità dovuta ad un mistero irrisolto e sconfina nella routine di tutte le serie tv, attaccate, come un respiratore artificiale, al meccanismo del finale a sorpresa di ogni puntata.

Tribolando e tribolando, finalmente il momento è giunto. Tralasciando le comiche organizzate tra Sky e Now Tv e le puntate rilasciate in streaming in netto anticipo con la prima visione americana, la musica di Angelo Badalamenti ha risuonato ancora.

E’ bastata la prima nota grave suonata da un basso misterioso ad azionare principi di brivido su tutta la spina dorsale.

La visione è stata preceduta da  una parca cena imbastita con i  genitori, a base di insalata con mele e avocado, mozzarella e patate arrosto. Il tutto bagnato con un Regaleali rosso della nota azienda siciliana Tasca D’Almerita.

 

DA QUI INIZIANO GLI SPOILER

Twin Peaks è Twin Peaks

Partiamo da un semplice assunto di fondo: Twin Peaks è Twin Peaks. Nelle prime due stagioni e nel film Fire Walk With Me, abbiamo imparato a conoscere alla perfezione la piccola cittadina al confine col Canada. Ne abbiamo conosciuto il centro città  e i dintorni, i boschi, le attività commerciali, la ristorazione, etc.

La III stagione di Twin Peaks inizia in un luogo affine ma non all’interno della cittadina: la Loggia Nera. Iniziano subito i soliti misteri legati ai dialoghi surreali tra il Gigante e l’ispettore Dale Cooper.

Noi, nostalgici della Roadhouse, del Great Northern Hotel, del liceo, della casa di Leo Johnson, dei Bookhouse Boys eravamo frementi per  tornare nel micro universo legnoso, grottesco e colorato della cittadina. Invece pronti via ci troviamo, con una panoramica da colossal anni 90 (alla io ‘Batman & Robin’) a New York e i suoi grattacieli. Poi dopo due mosse da scacchista, il maestro David Lynch ci porta in Texas e addirittura a Las Vegas.

La narrazione e il suo roadtrip tra le facce dell’America, profondamente diverse dagli stati del sud e quelli del nord, finalmente torna a fare tappa a Twin Peaks. Con il sovente uso delle carrellate dall’alto, anche Lynch non ha saputo resistere al fascino discreto del drone, ci viene introdotto il fitto bosco, già teatro degli avvenimenti delle prime stagioni ed anche i luoghi a noi cari.

Superato lo shock di vedere come è passato impietoso il tempo su qualche attore, Richard Beymer il grande Benjamin Horne su tutti, ed abituarsi a  tante rughe su volti che furono bellissimi, finalmente si torna a Twin Peaks.

Sono passati 25 anni, da quando abbiamo lasciato la cittadina, e il tempo per gli abitanti non sembra essere passato, se non nei già citati segni biologici, ma gli atteggiamenti ‘bislacchi’ sono sempre gli stessi. I personaggi della città sono delle vere e proprie macchiette, buffe e a tratti grottesche, in mezzo a loro l’ispettore Dale Cooper appariva nelle prime due stagioni come un vero e proprio Super Eroe, dotato di uno spessore caratteriale a due dimensioni superiore rispetto a quello degli altri personaggi.

 

Tranne il dottor Jacoby che sembrerebbe essersi ritirato a vita solitaria tra i boschi, incontriamo gli altri abitanti nei loro ‘habitat’ naturali.

Ad esempio ritroviamo Andy e Lucy, negli uffici della polizia locale, che si sono finalmente sposati e con un figlio.  Entrambi  presentano lo stesso atteggiamento privo di qualsiasi perspicacia. Oppure i fratelli Horne,  nell’albergo di famiglia. Benjamin con nuova saggezza e pacatezza (che sia una copertura?) e un barbuto Jerry dedito alla coltivazione di marijuana.

L’agente Hawk, che, forse in una tesi che solo i più audaci possono seguire, è il personaggio più positivo di tutta la saga (almeno che non ci siano colpi di scena), sembra dover assurgere a figura centrale nella serie. Poi troviamo la Signora Ceppo, che… beh lei è la Signora Ceppo.

Discorso a parte per Dale Cooper. L’incubo del finale della seconda stagione si è avverato. Dale Cooper, agente speciale dell’Fbi è stato contagiato da Bob. Ne vediamo due versioni uno all’interno della Loggia Nera, con il consueto completo da agente e uno killer che gira armato, freddo ed impassibile insieme ad alcuni sbandati. Un Dale Cooper dai lunghi capelli che sembra uscito da un parto a 4 tra Lynch, Tarantino e i fratelli Coen. Sembra infatti l’unione tra il Nicolas Cage di ‘Cuore Selvaggio’, un Vincent Vega e il malvagio Javier Bardem nei panni di  Anton Chigurh in ‘Non è un paese per vecchi’.

Twin Peaks la III stagione si affaccia sul mondo reale, si  confronta con realtà diverse dalle 4 mura di paese. In questo modo la paura diventa più globale, ma le atmosfere si rarefanno, fino a diventare a tratti quasi un film di gangster, simile a ‘Velluto Blu’.

Il malvagio Dale Cooper sembra l’anello di congiunzione tra Twin Peaks e il mondo esterno. Senza scrupoli, cattivissimo, ma comunque leggerissimi tratti buffo, forse non troppo spaventoso. Insomma, non è Bob. Il Bob che in ogni inquadratura metteva i brividi. Certo, Kyle McLahan non è Frank Silva. Però sembra quasi che il male assoluto che all’interno delle mura della piccola città era capace di assumere le forme più estreme e crudeli, a contatto con il mondo reale perda l’enfasi e diventi debole.

Lynch fa il Lynch

In definitiva, dopo aver visto le prime due puntate della terza stagione, che, come ha ribadito il regista trascendentalista, sono un vero e proprio film, si ha l’impressione che David Lynch sia salito in cattedra per girare il suo grande capolavoro. -Provocazione in 3..2..1: il suo ‘Kill Bill’.

Nei primi due episodi -o ‘parti’- troviamo quasi tutti gli elementi del cinema lynchano, tra autocitazioni e particolarissimi usi della telecamera. Maniacale cura del suono, per la prima volta nella serie ci sono delle canzoni degli album dello stesso Lynch. Insomma gli elementi parchi e quasi rudimentali con i quali il regista del Montana cucina una ricetta improntata sulla suspance, la paura e il mistero. 

In più ha ottenuto dalla rete la massima autonomia creativa. Per cui non c’è filtro alle sue creazioni. E sappiamo quanto il maestro, mago di creatività, ami condurci con le sue visioni. E questa III stagione di Twin Peaks, per ora sembra ricalcare i crismi della videoart ripercorribili nelle opere grandi e piccole del regista: ad esempio creare poesie in versi, quasi in rima baciata, tra immagini sconvolgenti.

In definitiva questi due primi episodi sono sembrati come una festa di compleanno del regista, alla quale sono stati invitati tutte le sue opere, dai dipinti (la scena del cadavere con la testa mozzata), alla musica, ai film.

In mezzo ai giochi collettivi, ci sono i personaggi di Twin Peaks, che appaiono un po’ come i ragazzini disagiati che nessuno voleva invitare. Inoltre con l’assenza dei momenti di ilarità, sottolineati dalle musiche ironiche del grande Badalamenti, la serie assume tratti di serietà molto più vicini ad una produzione cinematografica che ad una ‘soap opera del mistero’.

Il cammino è lunghissimo, la serie ha fatto centro, perchè è oggettivamente molto bella e magnetica, tanto da non vedere l’ora di riguardare le puntate in italiano, ma resta comunque una domanda che può semplicemente riassumere il contenuto di questo articolo:

Dove sono finite le torte alla ciliegia?

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